mercoledì 26 giugno 2019

Maturi consigli

Per un attimo ho creduto che fosse Roberto Saviano (la somiglianza è impressionante) a distillare consigli per il colloquio orale ai maturandi https://www.corriere.it/scuola/maturita/notizie/maturita-2019-gardini-vi-spiego-trucchi-l-orale-le-tre-buste-32860912-8def-11e9-bd73-fad8388dc5ff.shtml. Invece no, si tratta di Nicola Gardini, docente di letteratura italiana e comparata a Oxford, nonché autore di Viva il latino, come ci ricorda la pubblicità subliminale inserita nel video registrato per il Corriere. Ogni anno, in occasione della maturità classica, i giornali fanno le solite cose. Pubblicano la traduzione del testo greco (lo scorso anno Aristotele) o latino (quest’anno Tacito) affidata a un loro esperto. Il Corriere, ad esempio, ha la brava Franca Gusmini, docente al liceo Carducci di Milano. Poi vanno alla ricerca di qualche accademico, associato od ordinario poco importa, per avere, in aggiunta al commento fornito dal consulente a corredo della sua traduzione, un parere sulla scelta ministeriale. E allora, apriti cielo: Aristotele improponibile, Tacito un azzardo. E via con le solite, generiche osservazioni sullo stile e le asperità dell’autore, dimentichi del dictum “Per aspera ad astra”. Anche quest’anno è andata così, ed ecco il mantra, recitato a più voci, dell’insignificanza del passo di Tacito, tratto da Historiae I, 27. A ben vedere, però, il passo di Tacito non è così insipido, come da tanti ci è stato fatto credere. Basterebbe leggere l’interessante contributo di Cora Beth Fraser, “Otho’s Funny Walk: Tacitus, Histories 1.27”, Classical Quarterly 57 (2007) 621-631, che nessuno ha citato in questi giorni di maturoclassiche consulenze. A proposito sempre del testo di Tacito, uscito quest’anno al classico, mi è capitato di seguire lo scorso 21 giugno l’interessante webinar “Tradurre è capire, capire è necessario”, organizzato da Loescher Editore e tenuto da Nicoletta Marini e Franco Montanari. Nel discutere la traduzione del testo, si è ipotizzato che, nella frase «Otho, causam digressus requirentibus», la parola «digressus» possa essere interpretata, in alternativa al genitivo del sostantivo «digressus», come un participio passato di «digredior» (riferito ad Otho), soluzione quest’ultima che era apparsa persino preferibile. Ma, come ho fatto notare, inserendomi nel webinar, in Hist. II, 53 leggiamo «interrogatus Othonis libertus causam digressus habere se suprema eius mandata respondit». È quindi lo stesso Tacito che ci fa capire, riadoperando la stessa iunctura «causam digressus», come interpretare «digressus» in Hist. I, 27.

giovedì 13 giugno 2019

SOS università italiana

Walter Lapini, amico di vecchia data (si studiò assieme a Firenze, dove avemmo comuni Maestri come Giovan Battista Alberti, Adelmo Barigazzi, Antonio La Penna ed Enrico Livrea) e brillante e prolifico studioso, ha lanciato sul Corriere della sera del 10 giugno scorso un disperato SOS per l’università italiana (https://www.corriere.it/opinioni/19_giugno_10/nostra-universita-ha-bisogno-aiuto-a3604330-8b94-11e9-89a9-d9b502b0b46e.shtml). Nel suo accorato mini pamphlet Lapini chiede aiuto per l’università italiana, rimpiangendo, fra tanti scandali, il sistema concorsuale d’antan. Chi mai però potrebbe aiutare la «nostra» (loro) università? Tranne poche eccezioni, l’università italiana è stata colonizzata nel tempo da pseudo enfants prodige che, riconoscenti (debitori) nei confronti dei loro mentori, hanno perpetrato negli anni (piccoli baroni crescono…) “tutte le ingiustizie e le turpitudini” (per dirla con i “I vecchi e i giovani” di Pirandello) apprese dai loro maestri (la minuscola è qui d’obbligo). Come potrebbero quindi costoro essere di aiuto all’università italiana? Né lo sarebbero alcuni grandi maîtres à penser, che sono sempre pronti a scandalizzarsi e a tuonare contro gli scandali universitari, ma allo stesso tempo disposti a chiudere non solo gli occhi (viva la coerenza!), ma a fare di tutto perché il loro protégé (meglio se femme fatale) acceda ai più alti gradi del cursus honorum. E lo stesso dicasi per quanti, di tanto in tanto, pontificano da illustri quotidiani su ingiustizie somme ai concorsi universitari, inneggiando alla tanto vituperata in Italia meritocrazia, ma poi tralasciano di fare la minima menzione di altri, forse più ponderosi scandali, se ad essere interessato è il protégé del sodale. La magistratura, dal canto suo, cos’altro può fare, in presenza di esposti, intercettazioni e indagini, se non rinviare a giudizio per abuso d’ufficio (reato che taluno di recente vorrebbe cancellare) i commissari di turno al concorso scandaloso? Ma poi, una volta rinviati a giudizio e iniziato il processo, il giudice dovrà inevitabilmente nominare un perito per orientarsi sulla valutazione dei titoli scientifici oggetto della diatriba su cui egli non si può esprimere perché incompetente, e questo perito, quasi inevitabilmente, sarà un amico, collega e sodale dei commissari rinviati a giudizio. E allora, cosa accadrà? È probabile, molto probabile, che tutto finisca in un’assoluzione «perché il fatto non sussiste», dal momento che il candidato risultato vincitore avrà pure potuto scrivere circa 80 volte meno di chi meritava di vincere (mi ispiro all’esempio fatto in apertura da Lapini), ma, a giudizio dei commissari che l’hanno giudicato, giudizio condiviso probabilmente dal perito, il prescelto era qualitativamente superiore al respinto. E allora, chi potrà aiutare la nostra università? Lapini pensa forse alla politica, al Miur, ma non credo che sia così ingenuo da farlo. Basta leggere quanto scrive Ernesto Galli della Loggia nel suo recente saggio “L’aula vuota”: «È semplicemente grottesco, per esempio, che oggi al Miur stuoli di alti funzionari, obbedienti al tic di uno di loro divenuto ministro per grazia ricevuta, decidano di sottoporre a simulazione addirittura il nuovo format degli esami di licenza, mentre a nessuno di loro, in passato, è mai venuto in mente di simulare le possibili conseguenze di una delle tante innovazioni introdotte negli anni o di misurare gli effetti di quelle già introdotte» (pp. 61-62). E questo si potrebbe anche dire delle riforme universitarie targate Berlinguer e Gelmini. «Qualcuno ci aiuti», invoca alla fine Lapini. Forse ci sarebbe bisogno di Gino Strada, di Emergency per l’università italiana.