lunedì 22 luglio 2019

Maturità e Invalsi 2019

Il divario registrato fra la maturità e Invalsi 2019 https://www.corriere.it/scuola/maturita/notizie/maturita-invalsi-2019-due-carte-d-identita-rovesciate-gli-studenti-italiani-31190d82-ac93-11e9-8470-d02c1b58748e.shtml è la conferma che il voto di maturità è relativo. Ogni scuola, ogni commissione, ogni docente ha il suo metro di giudizio. Per questo ho sempre detto ai miei allievi che è importante formarsi una preparazione solida e non badare unicamente ai voti. Questi possono gratificare o deludere a seconda delle circostanze e dell’effetto Pigmalione sempre in agguato, ma a nulla servono quando, ad esempio, si voglia accedere, dopo la maturità, a scuole prestigiose per le quali il voto di maturità non fa la discriminante, mentre contano i risultati conseguiti negli esami di ammissione. Certo la spaccatura fra i risultati Invalsi e i 100, accompagnati talvolta da lode, deve far riflettere, e molto. Questo, peraltro, avviene in un’Italia in cui la scuola non è regionalizzata e, Deo gratias, non pare debba diventarlo.

Ortografia necrologica

Dopo il necrologio di Camilleri, che ha scatenato un putiferio per gli strafalcioni ortografici, ecco quello di Borrelli, scritto da Ilda Boccassini. Non c'è traccia questa volta di errori ortografici, ma il Corriere introduce ex silentio la virgola che mancava sul manifesto funebre dopo "chi"
https://www.corriere.it/cronache/19_luglio_22/borrelli-necrologio-ilda-boccassini-4aa44858-ac6a-11e9-8470-d02c1b58748e.shtml.

venerdì 19 luglio 2019

Cave errorem!



Chissà quanto si sarà divertito Camilleri a leggere nelle tenebre dell’Orco, unde negant redire quemquam, il suo manifesto funebre fatto affiggere dall’Amministrazione Comunale di Porto Empedocle!
Sì, perché mi auguro che il Tiresia siculo, varcato l’Acheronte, abbia riacquistato il dono della vista e si sia goduto gli strafalcioni ortografici affiorati sulla carta al tempo del colera, pardon, di WhatsApp. Il Corriere https://www.corriere.it/cronache/19_luglio_19/lutto-cittadino-andrea-camilleri-ma-manifesto-comune-pieno-errori-ortografia-diventa-virale-d6aa5ae4-aa4f-11e9-a88c-fde1fa123548.shtml?fbclid=IwAR1JrSgPLRHWAh8hEME2kCnmlnUloPcDU0QExc7Y1lFdSawuHIDVvwihMEs infierisce sugli errori, né «umili» né «lontanissimi» come quelli del Colloquio di Zanzotto, fustigando il sindaco di Porto Empedocle, Ida Carmina (cognomen omen), rea di essere finanche «docente di scuola media superiore». Non ci sarà questa volta il Severgnini di turno che considererà belli quegli errori come «l’apostrofo di troppo» nel «Qual’è» del post di Saviano. Ma il Corriere, dal canto suo, scivola anch’esso sull’ortografia funebre, trascrivendo la prima volta, dal manifesto incriminato, «Eredetà» al posto di «Eredità», a confermare, se ce (non «c’è») ne fosse bisogno, uno dei principi fondamentali della critica testuale, ossia l’errore di trascrizione del copista.
Chi è senza peccato, pardon, errore, scagli la prima pietra!

mercoledì 26 giugno 2019

Maturi consigli

Per un attimo ho creduto che fosse Roberto Saviano (la somiglianza è impressionante) a distillare consigli per il colloquio orale ai maturandi https://www.corriere.it/scuola/maturita/notizie/maturita-2019-gardini-vi-spiego-trucchi-l-orale-le-tre-buste-32860912-8def-11e9-bd73-fad8388dc5ff.shtml. Invece no, si tratta di Nicola Gardini, docente di letteratura italiana e comparata a Oxford, nonché autore di Viva il latino, come ci ricorda la pubblicità subliminale inserita nel video registrato per il Corriere. Ogni anno, in occasione della maturità classica, i giornali fanno le solite cose. Pubblicano la traduzione del testo greco (lo scorso anno Aristotele) o latino (quest’anno Tacito) affidata a un loro esperto. Il Corriere, ad esempio, ha la brava Franca Gusmini, docente al liceo Carducci di Milano. Poi vanno alla ricerca di qualche accademico, associato od ordinario poco importa, per avere, in aggiunta al commento fornito dal consulente a corredo della sua traduzione, un parere sulla scelta ministeriale. E allora, apriti cielo: Aristotele improponibile, Tacito un azzardo. E via con le solite, generiche osservazioni sullo stile e le asperità dell’autore, dimentichi del dictum “Per aspera ad astra”. Anche quest’anno è andata così, ed ecco il mantra, recitato a più voci, dell’insignificanza del passo di Tacito, tratto da Historiae I, 27. A ben vedere, però, il passo di Tacito non è così insipido, come da tanti ci è stato fatto credere. Basterebbe leggere l’interessante contributo di Cora Beth Fraser, “Otho’s Funny Walk: Tacitus, Histories 1.27”, Classical Quarterly 57 (2007) 621-631, che nessuno ha citato in questi giorni di maturoclassiche consulenze. A proposito sempre del testo di Tacito, uscito quest’anno al classico, mi è capitato di seguire lo scorso 21 giugno l’interessante webinar “Tradurre è capire, capire è necessario”, organizzato da Loescher Editore e tenuto da Nicoletta Marini e Franco Montanari. Nel discutere la traduzione del testo, si è ipotizzato che, nella frase «Otho, causam digressus requirentibus», la parola «digressus» possa essere interpretata, in alternativa al genitivo del sostantivo «digressus», come un participio passato di «digredior» (riferito ad Otho), soluzione quest’ultima che era apparsa persino preferibile. Ma, come ho fatto notare, inserendomi nel webinar, in Hist. II, 53 leggiamo «interrogatus Othonis libertus causam digressus habere se suprema eius mandata respondit». È quindi lo stesso Tacito che ci fa capire, riadoperando la stessa iunctura «causam digressus», come interpretare «digressus» in Hist. I, 27.

giovedì 13 giugno 2019

SOS università italiana

Walter Lapini, amico di vecchia data (si studiò assieme a Firenze, dove avemmo comuni Maestri come Giovan Battista Alberti, Adelmo Barigazzi, Antonio La Penna ed Enrico Livrea) e brillante e prolifico studioso, ha lanciato sul Corriere della sera del 10 giugno scorso un disperato SOS per l’università italiana (https://www.corriere.it/opinioni/19_giugno_10/nostra-universita-ha-bisogno-aiuto-a3604330-8b94-11e9-89a9-d9b502b0b46e.shtml). Nel suo accorato mini pamphlet Lapini chiede aiuto per l’università italiana, rimpiangendo, fra tanti scandali, il sistema concorsuale d’antan. Chi mai però potrebbe aiutare la «nostra» (loro) università? Tranne poche eccezioni, l’università italiana è stata colonizzata nel tempo da pseudo enfants prodige che, riconoscenti (debitori) nei confronti dei loro mentori, hanno perpetrato negli anni (piccoli baroni crescono…) “tutte le ingiustizie e le turpitudini” (per dirla con i “I vecchi e i giovani” di Pirandello) apprese dai loro maestri (la minuscola è qui d’obbligo). Come potrebbero quindi costoro essere di aiuto all’università italiana? Né lo sarebbero alcuni grandi maîtres à penser, che sono sempre pronti a scandalizzarsi e a tuonare contro gli scandali universitari, ma allo stesso tempo disposti a chiudere non solo gli occhi (viva la coerenza!), ma a fare di tutto perché il loro protégé (meglio se femme fatale) acceda ai più alti gradi del cursus honorum. E lo stesso dicasi per quanti, di tanto in tanto, pontificano da illustri quotidiani su ingiustizie somme ai concorsi universitari, inneggiando alla tanto vituperata in Italia meritocrazia, ma poi tralasciano di fare la minima menzione di altri, forse più ponderosi scandali, se ad essere interessato è il protégé del sodale. La magistratura, dal canto suo, cos’altro può fare, in presenza di esposti, intercettazioni e indagini, se non rinviare a giudizio per abuso d’ufficio (reato che taluno di recente vorrebbe cancellare) i commissari di turno al concorso scandaloso? Ma poi, una volta rinviati a giudizio e iniziato il processo, il giudice dovrà inevitabilmente nominare un perito per orientarsi sulla valutazione dei titoli scientifici oggetto della diatriba su cui egli non si può esprimere perché incompetente, e questo perito, quasi inevitabilmente, sarà un amico, collega e sodale dei commissari rinviati a giudizio. E allora, cosa accadrà? È probabile, molto probabile, che tutto finisca in un’assoluzione «perché il fatto non sussiste», dal momento che il candidato risultato vincitore avrà pure potuto scrivere circa 80 volte meno di chi meritava di vincere (mi ispiro all’esempio fatto in apertura da Lapini), ma, a giudizio dei commissari che l’hanno giudicato, giudizio condiviso probabilmente dal perito, il prescelto era qualitativamente superiore al respinto. E allora, chi potrà aiutare la nostra università? Lapini pensa forse alla politica, al Miur, ma non credo che sia così ingenuo da farlo. Basta leggere quanto scrive Ernesto Galli della Loggia nel suo recente saggio “L’aula vuota”: «È semplicemente grottesco, per esempio, che oggi al Miur stuoli di alti funzionari, obbedienti al tic di uno di loro divenuto ministro per grazia ricevuta, decidano di sottoporre a simulazione addirittura il nuovo format degli esami di licenza, mentre a nessuno di loro, in passato, è mai venuto in mente di simulare le possibili conseguenze di una delle tante innovazioni introdotte negli anni o di misurare gli effetti di quelle già introdotte» (pp. 61-62). E questo si potrebbe anche dire delle riforme universitarie targate Berlinguer e Gelmini. «Qualcuno ci aiuti», invoca alla fine Lapini. Forse ci sarebbe bisogno di Gino Strada, di Emergency per l’università italiana.

giovedì 28 febbraio 2019

28 febbraio 2019
Simulazione II prova Esame di Stato, indirizzo classico
Lingua e cultura latina e Lingua e cultura greca

Questa mattina i miei studenti di Pisa, come tanti altri nei licei classici, sono alle prese con la simulazione della II prova. È uscito un passo degli Annales di Tacito (6.8) da confrontare con un brano di Cassio Dione (58, 11, 1-2 e 12, 3-4). Alcune brevi considerazioni. Tacito è un autore che solitamente si affronta in classe nell’ultima parte del II quadrimestre.
Era opportuna questa scelta per una simulazione fissata per il 28 febbraio?
Quando si scelgono i testi e si prepara il format perché venga utilizzato agli esami e durante le simulazioni, è doveroso controllare attentamente i testi. Si immagina che vi siano al Miur persone competenti, e senz’altro meglio remunerate dei docenti delle scuole, che dovrebbero occuparsi di questo. Eppure non di rado troviamo agli esami degli errori e delle sviste nei testi che vengono proposti. Così, anche in questa simulazione, nel testo latino da tradurre si aprono le virgolette per il discorso diretto prima di “Fortunae”, ma, ahimé, non si chiudono più. Andavano chiuse nel post-testo dopo “obbedienza”. Nella traduzione italiana del primo passo greco di Cassio Dione, nell’ultima riga, è saltata dopo “colui di fronte al quale” la traduzione dell’imperfetto greco dell’originale (προσεκύνουν), ossia “si inginocchiavano (prostravano)”.
Veniamo ai quesiti. Come si fa a proporre come terzo quesito una riflessione sul termine latino obsequium, che non compare nel testo latino proposto? Si trattava, nell’originale, di un obsequii, genitivo, che viene reso nel post-testo con “dell’obbedienza”. Ma non si dice nulla, nel post-testo, che con “obbedienza” ci si riferiva all’obsequium
Siamo poi proprio sicuri che, al 28 febbraio, molti studenti delle terze liceo, che probabilmente non hanno ancora studiato Tacito, possano ricordare altri passi dello scrittore in cui compare obsequium, riflettendo sulla valenza del termine non solo in Tacito, ma anche in altri autori di età imperiale? Sembrerebbe che chi ha formulato il terzo quesito abbia avuto in mente il contributo di M. Pani ‘Sulla nozione di “obsequium” in Tacito e Plinio il Giovane’, in idemPotere e valori a Roma fra Augusto e Traiano (Bari, Edipuglia, seconda edizione, 2003), 159–80, che dubito sia stato letto dai nostri studenti liceali.
Last but not least, Cassio Dione menziona esplicitamente Terenzio e la sua assoluzione da parte del senato in 58, 19, 3-5: non sarebbe stato più sensato proporre (anche) questa parte da confrontare con il passaggio di Tacito?