giovedì 13 giugno 2019

SOS università italiana

Walter Lapini, amico di vecchia data (si studiò assieme a Firenze, dove avemmo comuni Maestri come Giovan Battista Alberti, Adelmo Barigazzi, Antonio La Penna ed Enrico Livrea) e brillante e prolifico studioso, ha lanciato sul Corriere della sera del 10 giugno scorso un disperato SOS per l’università italiana (https://www.corriere.it/opinioni/19_giugno_10/nostra-universita-ha-bisogno-aiuto-a3604330-8b94-11e9-89a9-d9b502b0b46e.shtml). Nel suo accorato mini pamphlet Lapini chiede aiuto per l’università italiana, rimpiangendo, fra tanti scandali, il sistema concorsuale d’antan. Chi mai però potrebbe aiutare la «nostra» (loro) università? Tranne poche eccezioni, l’università italiana è stata colonizzata nel tempo da pseudo enfants prodige che, riconoscenti (debitori) nei confronti dei loro mentori, hanno perpetrato negli anni (piccoli baroni crescono…) “tutte le ingiustizie e le turpitudini” (per dirla con i “I vecchi e i giovani” di Pirandello) apprese dai loro maestri (la minuscola è qui d’obbligo). Come potrebbero quindi costoro essere di aiuto all’università italiana? Né lo sarebbero alcuni grandi maîtres à penser, che sono sempre pronti a scandalizzarsi e a tuonare contro gli scandali universitari, ma allo stesso tempo disposti a chiudere non solo gli occhi (viva la coerenza!), ma a fare di tutto perché il loro protégé (meglio se femme fatale) acceda ai più alti gradi del cursus honorum. E lo stesso dicasi per quanti, di tanto in tanto, pontificano da illustri quotidiani su ingiustizie somme ai concorsi universitari, inneggiando alla tanto vituperata in Italia meritocrazia, ma poi tralasciano di fare la minima menzione di altri, forse più ponderosi scandali, se ad essere interessato è il protégé del sodale. La magistratura, dal canto suo, cos’altro può fare, in presenza di esposti, intercettazioni e indagini, se non rinviare a giudizio per abuso d’ufficio (reato che taluno di recente vorrebbe cancellare) i commissari di turno al concorso scandaloso? Ma poi, una volta rinviati a giudizio e iniziato il processo, il giudice dovrà inevitabilmente nominare un perito per orientarsi sulla valutazione dei titoli scientifici oggetto della diatriba su cui egli non si può esprimere perché incompetente, e questo perito, quasi inevitabilmente, sarà un amico, collega e sodale dei commissari rinviati a giudizio. E allora, cosa accadrà? È probabile, molto probabile, che tutto finisca in un’assoluzione «perché il fatto non sussiste», dal momento che il candidato risultato vincitore avrà pure potuto scrivere circa 80 volte meno di chi meritava di vincere (mi ispiro all’esempio fatto in apertura da Lapini), ma, a giudizio dei commissari che l’hanno giudicato, giudizio condiviso probabilmente dal perito, il prescelto era qualitativamente superiore al respinto. E allora, chi potrà aiutare la nostra università? Lapini pensa forse alla politica, al Miur, ma non credo che sia così ingenuo da farlo. Basta leggere quanto scrive Ernesto Galli della Loggia nel suo recente saggio “L’aula vuota”: «È semplicemente grottesco, per esempio, che oggi al Miur stuoli di alti funzionari, obbedienti al tic di uno di loro divenuto ministro per grazia ricevuta, decidano di sottoporre a simulazione addirittura il nuovo format degli esami di licenza, mentre a nessuno di loro, in passato, è mai venuto in mente di simulare le possibili conseguenze di una delle tante innovazioni introdotte negli anni o di misurare gli effetti di quelle già introdotte» (pp. 61-62). E questo si potrebbe anche dire delle riforme universitarie targate Berlinguer e Gelmini. «Qualcuno ci aiuti», invoca alla fine Lapini. Forse ci sarebbe bisogno di Gino Strada, di Emergency per l’università italiana.

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